21/03/09 – ore 20:45 – Teatro San Marco
con: Licia Lanera, Riccardo Spagnulo
Regia: L. Lanera – R.Spagnulo
Con il progetto "Capatosta – Esercizi di lingua violenta" presentato con il Teatro Kismet e con la collaborazione di Ravenna Teatro/Teatro delle Albe e del Teatro Pubblico Pugliese, Fibre Parallele Teatro è tra i dieci vincitori del bando Nuove Creatività pubblicato dall’Ente Teatrale Italiano. Il progetto si concluderà con il debutto di una nuova produzione al Teatro Valle di Roma nel maggio 2009.
Il "devoto" si riconosce, anche fisicamente: ha una postura (ad esempio, il busto leggermente inclinato), lo sguardo rivolto verso l’alto, un sorriso tra l’imbarazzato e il perennemente felice. Il devoto è una categoria, ha su di sé – non solo come oggettistica o come laiche stimmate – il peso, il dolce fardello, il segno di un essere "soggetto a", di colui che vive per l’oggetto della sua devozione. Il devoto tradizionale, ovvero storico, mantiene una rispettosa distanza dall’oggetto di devozione: non si concepisce come pari né ha dimestichezza con ciò che venera. Anzi: la venerazione implica lontananza e solo parziale conoscenza. In questa immagine stereotipata, qualcosa sta cambiando: nel cattolicesimo, ad esempio, è invalsa l’abitudine a dare del "tu" al venerato. Si sentono monaci, prelato o parrocchiani chiamare "Antonio" o "Francesco" come se, invece di santi, fossero amiconi, compagni di calcetto particolarmente dotati o colleghi di lavoro con un certo carisma. Il devoto non è più sottomesso e confuso, ma ammiratore, sorpreso e divertito, complice e partecipe, delle doti dell’idolo. Proprio su questo ambiguo cambio di rapporti con il venerato sembra giocare Mangiami l’anima e poi sputala, della giovanissima compagnia barese Fibre Parallele. Licia Lanera e Riccardo Spagnuolo (questi i nomi dei due fondatori del gruppo) si immaginano la storia di una beghina pugliese: una zitelletta dissociata, una emarginata che vive solo nella devozione, nel girare di chiesa in chiesa a lavare sacrestie. La donna proietta la sua solitudine nel dialogo con il Cristo, tanto che – come era da attendersi – questi scende dalla Croce e si dedica a lei. Ma è un Cristo fin troppo umano: parla con accento slavo, fuma, fa aerobica, guarda la tele ed ha dell’amore cristiano una visione molto carnale. La beghina, ovviamente, dapprima si muta in perfetta casalinga, asservita al suo Gesù spiazzante ma tanto atteso, poi – messa sempre più a disagio dalla dimestichezza con il venerato – decide di sbarazzarsene. Uccide il Cristo proprio perché delude la sua visione "distante" di devota. L’idea del figlio di Dio che torna tra gli umani non è nuovissima: da Beppe Grillo (in un brutto film) a Denys Arcand (con l’indimenticabile Jesus of Montréal) in molti se ne sono occupati. Ma in Mangiami l’anima e poi sputala è interessante proprio il punto di vista della zitelletta sessuofobica e borghesuccia, che ribalta la prospettiva rispetto al disagio di un divino mai compreso fino in fondo. Tratto dall’omonimo romanzo di Giovanna Furio, lo spettacolo ha momenti di grande ilarità e cinismo, nel barocco linguistico e immaginifico di una Puglia sempre sospesa tra innovazione e tradizione: fa tornare alla mente il lavoro di un’altra compagnia barese, quel Japigia Teatro che attraversò come una luminosissima meteora la scena italiana degli anni Novanta. E forse è veramente impossibile scampare alla messinscena e alla menzogna.
Spettacolo teatrale per adulti.
Circuito Nazionale del Nuovo Teatro – TEATRONET